Il Museo Guatelli a Ozzano Taro: la lezione delle cose contadine radunate in museo da Ettore Guatelli
Guatelli
Ettore Guatelli (1921 – 2000)

Profuma di stampa fresca (aprile 2016) il libro di Fabrizio Rosi “La lezione delle cose. Ettore Guatelli si racconta”, presentato domenica scorsa a Ozzano Taro. Comprende una sintesi della “didattica delle cose”, colte nella piccola loro vita, che dà pari dignità al “saper fare” rispetto alla scuola del libro. Rosi richiama l’applicazione pratica delle idee di John Dewey, Célestin Freinet, ricreate da Mario Lodi e don Lorenzo Milani, maestri di concretezza, di aderenza alle persone e al loro contesto ambientale. Gli oggetti sono sempre storie di vita, sono reperti umanizzati, si collocano dentro un percorso storico-archeologico in cui le attività pratiche sviluppano la capacità critica e danno competenze. Ettore Guatelli si definiva “maestro contadino”, figlio di un mezzadro della val Taro (Neviano), che fu legato allo sciopero agrario e operaio del 1908 a Parma guidato dal sindacalista lunigianese Alceste De Ambris, e poi antifascista. Non poteva resistere alle fatiche del lavoro contadino perché di debole costituzione fisica, leggeva molto e trovava stimoli di riflessione e accensione di curiosità verso “il grande teatro delle cose”. Incominciò a radunare attrezzi che illustravano la cultura del lavoro, ne fece schede descrittive attingendo alle testimonianze dirette dei contadini o dei rigattieri di città. Evento fondamentale fu l’incontro con Attilio Bertolucci, il grande poeta di Parma con legami inscindibili col contado, con la casa a Casarola, come mirabilmente raccontato nel libro “La camera da letto”. Bertolucci capì che Guatelli aveva sentimento e possedeva una cultura orale da non disperdere; gli divenne amico e gli fece lezione d’italiano, in otto mesi lo preparò all’esame per il diploma di maestro elementare. Non divenne mai di ruolo, ma ebbe incarichi vari alle carceri, all’orfanotrofio, in colonia, praticò la forza didattica del fare, del toccare le cose per farle parlanti, ricrearne lo spirito, illustrarne l’ingegnosità, narrarle in giornalino scolastico e in un diario. Oggetti e persone formano un’unità –osserva il filosofo Remo Bodei – difficile da smembrare La sua era una scuola intesa come riscatto da complessi di inferiorità dei “paisà” che i “cittadini” consideravano con un certo compatimento. Il capitale di attrezzi cresceva, raccoglierli era una passione, creava problemi contingenti di trovare spazi per raccoglierli in museo. Fabrizio Rosi, amico, fruitore e collaboratore di quel museo finalmente realizzato, ne descrive il fascino, la diversità, il ricco schedario con documentazione accurata, con uso del dialetto per dare il nome alle cose, museo amato come un figlio da Guatelli, che seppe fare delle cose gli elementi portanti del suo pensiero. Nel 1981 registrò col maestro contadino una conversazione, ora pubblicata integrale nel libro per ricordare nella sua autenticità l’amico scomparso. “Il museo è qui”, sta a Ozzano Taro, aperto, vivo e aggiornato, ha conosciuto attenzione da uomini della cultura e della stampa, è meta di visite che entusiasmano scolari e adulti.